DOMENICO CARUTTI - POLITICO

Domenico Carutti, avvicinatosi alle idee liberali negli anni giovanili scrisse, tra l'altro, per la “Concordia” e per la “Rivista Italiana” che diresse insieme a Domenico Berti (anche lui nativo di Cumiana).
Nel 1852 pubblicò il saggio politico “Dei principi di un governo libero” e andò maturando le sue convinzioni di liberale moderato convinto difensore della libertà costituzionale e della monarchia parlamentare .
Rimase sempre molto legato alla sua Cumiana di cui fu più volte Sindaco, fece anche parte del Consiglio Provinciale, fu eletto deputato nella 7^ ed 8^ legislatura (nel 1860 per il Collegio di Avigliana, l'anno successivo per il Collegio di Aosta) sedendo fra i rappresentanti della destra conservatrice. Fu ancora deputato nella XI e XII legislatura ( per il Collegio di Verrès 1870 - 1874) mantenendo vive le sue convinzioni che lo portavano a sostenere la la monarchia sabauda a guida dell'Italia indipendente e nel contempo l'adesione alla fede cattolica.
Significativo il suo discorso sulla questione del Plebiscito Romano pronunciato come deputato il 21 dicembre 1870.
Pur manifestando “patrio compiacimento per l'unione di Roma coll'Italia” e considerando positivo “il cessare della diretta sovranità territoriale del sommo pontefice“ e “profittevole al cattolicismo il risorgimento del governo civile nella città sacerdotale” , suscitando “segni d'impazienza a sinistra”, aveva affermato :”... il modo tenuto dal Governo nel condurre l'impresa non è da me lodato … Non so lodare il modo, perchè la violenza mi offende sempre; non so lodarlo , perché la violenza del forte contro il debole non conquista intera la benevolenza degli uomini; lo disapprovo, perché contrario a quel programma che da dieci anni la parte governativa aveva disegnato e sostenuto.” Anche se comprendeva la necessità di giungere ad una soluzione della questione romana, era convinto che si sarebbero dovuto utilizzare altre modalità . Inoltre, ribadiva di aver sempre “creduto che l'Italia potesse essere libera, una e forte, retta da una sola monarchia e civilmente cospicua, senza che fosse necessario che gli alti poteri dello Stato venissero trasferiti nella Città dei Cesari e dei papi …” In conclusione esprimeva comunque la sua volontà di votare “la legge del plebiscito perchè essa reca seco unita la legge delle guarentigie del pontefice.”precisando che, se non fosse stato così, non avrebbe dato il suo voto favorevole.
Nel 1876, con la caduta della destra, lasciò la vita politica attiva per dedicarsi ai suoi studi storici.
Nel 1889 fu nominato Senatore del Regno.