EDMONDO DE AMICIS E LA PRESA DI ROMA

Edmondo De Amicis, come inviato della "Nazione", potè assistere alla presa di Roma e descrisse l'evento e le emozioni che colse in coloro che vi parteciparono:
"Ieri mattina (da intendersi 20 settembre) alle quattro fummo svegliati a Monterotondo, io e i miei compagni, dal lontano rimbombo del cannone. Partimmo subito. Appena fummo in vista della città , a cinque o sei miglia, argomentammo dai nuvoli di fumi che le operazioni militari erano state dirette su varii punti A misura che ci avviciniamo (a piedi, s'intende) vediamo tutte le terrazze delle ville piene di gente che guarda. Nessun corpo di fanteria aveva ancora assalito. L'artiglieria stava ancora bersagliando le porte e le mura per aprire le brecce. Non ricordo bene che ora fosse quando ci fu annunziato che una larga breccia era stata aperta vicino a porta Pia, e che i cannoni dei soldati appostati a quella porta erano stati smontati. Salimmo sulla terrazza d'una villa e vedemmo distintamente le mura sfracellate e la porta Pia malconcia."
Il racconto continua con la descrizione delle operazioni della divisione Mazè de la Roche: l'attacco, la difesa dei pontifici, il lancio delle granate, l'arrivo della fanteria.
De Amicis registra così il momento cruciale: "Ho sentito un fuoco di moschetteria assai vivo; poi un lungo grido Savoia!poi uno strepito confuso; poi una voce lontana che gridava : Sono entrati!
La porta Pia era tutta sfracellata, la sola immagine enorme della Madonna che le sorge dietro era rimasta intatta, le statue a destra e a sinistra non avevano più testa, il suolo intorno era sparso di mucchi di terra, di materassi fumanti, di berretti di zuavi, d'armi, di travi, di sassi.
Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti.
In quel momento uscì da porta Pia tutto il corpo diplomatico in grande uniforme , e mosse verso il quartier generale.
Entrammo in città. Le prime strade erano già piene di soldati. E' impossibile esprimere la commozione che provammo in quel momento; vedevamo tutto in confuso, come dietro una nebbia: alcune case arse la mattina fumavano, parecchi zuavi prigionieri passavano in mezzo alle file dei nostri, il popolo romano ci correva incontro
Giungiamo in piazza del Quirinale. Arrivano di corsa i nostri reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo. Passano drappelli di cittadini colle armi tolte agli zuavi. Giungono i prigionieri pontificii. I sei battaglioni bersaglieri della riserva, preceduti dalla folla, si dirigono rapidamente, al suono della fanfara, in piazza Colonna. La moltitudine si versa nella piazza da tutte le parti, centinaia di bandiere sventolano, l'entusiasmo è al colmo. Non v'è parola umana che valga ad esprimerlo. I soldati sono commossi fino a piangerne. Non vedo altro, non reggo alla piena di tanta gioia, mi spingo fuori della folla, incontro operai, donne del popolo, vecchi, ragazzi: tutti hanno la coccarda tricolore, tutti accorrono gridando: - I nostri soldati! I nostri fratelli!
E' commovente; è l'affetto compresso da tanti anni che prorompe tutto in un punto ora; è il grido della libertà di Roma che si sprigiona da centomila petti; è il primo giorno d'una nuova vita; è sublime."

(Tratto da Roma, la capitale d'Italia di Vittorio Bersezio [con la collaborazione di Ferdinando Bosio, E. De Amicis
Milano,Treves, 1872
Biblioteca Civica Alliaudi Pinerolo )